FATTI DEL 1943

da un articolo della Voce del Cifr del settembre 2003

   

Fig. 1

“Le dimissioni di Mussolini, Badoglio capo del Governo”. Così titolava a tutta pagina, il 26 luglio 1943, il “Corriere della sera”. Il fatto, fra le mille ulteriori cose, innescò anche una rigida normativa per annullare l’annullabile. Ovvero, per togliere da ogni dove i termini ormai buttati nell’archivio della storia. Fra i quali, il sostantivo “Duce” e l’aggettivo “fascista”. Nel fuoco, metaforico o reale, finirono così documenti, leggi, quadri, statue e molto altro. Non escluse le frasi di propaganda che, ormai da tempo, accompagnavano le comunicazioni epistolari degli italiani e, prima di tutto, tra il fronte e le famiglie.

Ancora il 25 luglio 1943 nulla fa presagire l’imminente colpo di scena: La cartolina annullata a Roma Nomentano proprio quel fatidico giorno (fig.1) promette, a stampa, un categorico “Vinceremo”. Più pacata ed intima l’annotazione al retro, firmata “Mamma e Pia” e indirizzata nel Bolognese a, forse, una persona sfollata. “Immagino che sarai stata in pensiero per noi- si legge- e mi affretto ad inviarti nostre notizie. Avrei voluto mandarti un piccolo ricordino per la tua festa ma in questo momento i pacchi non partono…”.

Di ben altro tenore è la situazione il 13 agosto successivo; un soldato dislocato in Montenegro scrive a casa, a Milano, dopo aver diligentemente cancellato la firma “Mussolini” dalla frase: “Fra germanici e italiani siamo un blocco di 150 milioni di uomini risoluti e compatti e piantati, dalla Norvegia alla Libia, nel cuore dell’Europa. Questo blocco ha già nel pugno la vittoria” (fig.2). Ma lo stesso slogan è in parte occultato con la imperiosa e sottolineata annotazione “Per via aerea”. La ragione è comprensibile leggendo l’interno: “Ora- spiega il mittente, che colloquia con la madre- abbiamo la possibilità di farci pervenire più in fretta la posta adottando il servizio aereo, quando mi scrivi, oltre al francobollo da 25, ne devi mettere un altro da 50 cts. della posta aerea”.

Fig. 2

Ancora più preciso è il commilitone che, da Fiume, il 9 agosto precedente aveva cancellato non solo il cognome del dittatore, ma anche il termine “fascista” (fig.3). Censurando il testo prestampato e privandolo quindi del suo significato: “Tutte le volte che noi abbiamo cercato di farci un po’ di posto nel mondo, abbiamo sempre trovato le vie sbarrate: non solo le vie sbarrate all’Italia… ma all’Italia pura e semplice”. I contenuti a penna sono quelli di sempre. In questo caso, il milite risponde alla zia, nel Leccese, per il consueto aggiornamento sulle situazioni familiari e lo scambio di saluti.

 

Fig. 3

Altri testi, invece, riescono a sopravvivere a tutto. Persino dopo l’8 settembre, quando i giornali annunciano, vanamente, la pace (“La guerra è finita” titolerà, il giorno successivo, “La stampa”). Dall’ospedale militare di Udine, ad esempio, un ricoverato scrive a due signorine di Vercelli (fig.4). È il 4 ottobre e la situazione è forse più definita di un mese prima. Ed è chiaro che, sia pure in modo diverso, il conflitto prosegue. Tanto che nessuno ritiene opportuno cancellare il generico monito “Il nemico va combattuto con tutte le armi. Ricorda che è un’arma anche il segreto militare”.

Fig. 4 

 

 

     ultimo aggiornamento 12 settembre 2003